Il silenzio, questo sconosciuto

silenziodi Nino Mallamaci* - Giorni fa mi sono imbattuto per caso in un video di qualche anno addietro. L'ho girato nella toilette dell'aeroporto di Helsinky, dove, appena entrato, sono stato investito da un'ondata di stupore. Prima ho pensato che, contrariamente al solito in queste grandi strutture, ci fossero le finestre spalancate. Mi sono guardato intorno, ma era tutto normalmente sigillato. Poi, continuando a sentire quel rumore, ho pensato a un repentino quanto fastidioso peggioramento degli acufeni alle mie orecchie. Alla fine, mi sono sentito sollevato perché i miei acufeni non c'entravano per niente. Era proprio un cinguettio che si irradiava, in tutto quell'ambiente pulito e bianco come una sala operatoria, dagli altoparlanti! Era come se uno stormo di uccellini (alt! Niente allusioni maliziose, per cortesia) volteggiasse gioioso nell'aria, al che mi sono messo a filmare per testimoniare questa stranezza. Ho postato il video, e un mio amico ha commentato scrivendo che in molte aree di servizio del nord da un po' di tempo è stato adottato lo stesso sistema, si presume per rendere più gradevole il soggiorno in quegli spazi consacrati all'espletamento dei bisogni fisiologici. In sostanza, gli ideatori di questa brillante trovata hanno evidentemente ritenuto che compiere gli atti che conosciamo come se ci si trovasse in un ambiente bucolico possa risultare piacevole o, addirittura, essere d'aiuto o di supporto.

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La verità è che ormai ogni istante della nostra giornata viene scandito da rumori di ogni genere, come se il silenzio fosse una iattura da evitare, una malattia da prevenire.

Tempo fa, il maestro Piovani scriveva: "la musica passiva è quella musica che non ho scelto io, ma che devo sentire per forza: o perché sto comprando l'insalata a un supermercato, o perché sto mangiando in un ristorante à la page, o perché sto facendo fisioterapia, o perché viaggio sul taxi di un tassista invadente, o perché faccio benzina in un self service, o perché sto sotto il trapano del dentista... e l'elenco potrebbe continuare". Alla presa di posizione di Piovani ne seguirono altre, e il dibattito, a mio avviso per niente frivolo, si allargò appunto all'abitudine di riempire ogni attimo di silenzio, in ogni luogo, con frastuono di ogni genere. Per la musica, il maestro sottolineava anche la mancanza di rispetto per essa, per quella buona almeno, la sua degradazione a strumento utilizzato per colmare ogni interstizio tra, come dire, una stimolazione dell'udito e quella successiva. Come Piovani, ci sono volte che, per esempio, quando mi siedo in pizzeria o al ristorante, voglioso di scambiare qualche frase con chi mi sta vicino senza dover urlare, chiedo di abbassare il volume della musica o di attutire il baccano che arriva dal televisore. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, mi trattengo e mi piego alla sofferenza. E nei bar? Nei negozi? Vai alle sette di mattina a prendere un caffè in santa pace, e ti investe un chiasso infernale, prodotto dalla somma di quello proveniente dalla radio o dalla televisione a volume altissimo, con quello del chiacchiericcio degli avventori, costretti a strillare anche per ordinare un cappuccino. I negozi, poi, specialmente quelli per i "ggiovani", sono oramai perfettamente assimilabili a discoteche dove, però, non si va per ballare ma per acquistare, chessoio, un paio di pantaloni. E il barbiere? Si è detto e si dice spesso che la categoria sia la maggiore depositaria dei segreti più intimi delle persone. La bella atmosfera ovattata favorisce (meglio: favoriva) la confidenza sussurrata, il pettegolezzo, o il gossip, per stare al passo coi tempi, bisbigliato all'orecchio. Ma siamo arrivati al punto che anche il tempio del dialogo mormorato viene profanato dal fracasso, violentato dalla caciara.
Con l'avvento dei cellulari la situazione è precipitata del tutto. Gente che sbraita al telefono, quasi che rendere partecipe il mondo intero delle proprie faccende private sia la cosa più naturale da farsi, se ne vede ormai nei posti più impensati, persino in cima alle vette da scalare con piccozza e scarponi da montagna.
E allora c'è chi si industria, per creare o cercare un minimo di quiete, realizzando ristoranti dove si mangia rigorosamente in silenzio, anche perché, come si diceva una volta, quando si mangia si combatte con la morte. Oppure trovando rifugio in conventi dove si soggiorna una settimana intera senza quasi parlare del tutto.
Io, purtroppo, non posso usare neanche le cuffie o i più tradizionale tappi per le orecchie. Fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni, e rumori vari, se mi otturo le orecchie, non vanno mai via. Maledetti acufeni!

* Avvocato e scrittore