La condizione della donna e la “tempesta emotiva”: una riflessione senza retorica

00052094-le-donne-in-protestadi Isidoro Pennisi* - La recente sentenza in cui, attraverso delle attenuanti generiche definite come "tempesta emotiva", si decurta una pena per omicidio (e lo definisco così perché una donna è un essere umano) rende palese l'imbuto pericoloso dentro il quale si è infilata la discussione sull'aumento esponenziale di uccisioni e violenze contro le donne. So benissimo che questo è argomento delicato, soprattutto perché chiunque provi a ragionare senza prendere posizione palese per una delle due tesi prevalenti, che tendono a semplificare il fenomeno, rischia di essere aggredito e non preso in considerazione da ambo le parti. Se uno non sposa la tesi di una coriacea resistenza maschile nel non accettare la fine della discriminazione millenaria e radicale della donna, oppure non si schiera dalla parte di chi sottovaluta e sottostima questa recrudescenza, addebitandola proprio ad una presupposta questione di rigetto culturale della condizione di parità di cui godono le donne e gli uomini, rischia grosso. Rischia, come sempre accade, di prenderle da ambo le parti. Come sempre, la relazione tra il dito e la luna, è duro a morire. Io sono convinto che la questione, di per se di gravità assoluta, è solo una conseguenza, che appare tradizionale e consuetudinaria solo per via dei precedenti storici, ma che è invece causata da un fondamento inedito, che stiamo sottovalutando pericolosamente.

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Per prima cosa io tendo ad escludere, se non come fatto residuale (un residuo da non sottovalutare e da combattere) che vi sia una diffusa e pervasiva, quindi irrisolta, discriminazione della donna, nelle relazioni che ci legano, soprattutto in quella parte in cui la sessualità per secoli è stata spesso la condizione utilitaria di una donna per un uomo. La donna è stata finanche bottino di guerra, oggetto vivente da saccheggiare come premio per le truppe (tanto per citare l'aspetto più chiaro da cui derivano tutti gli altri per ricaduta) Una situazione avvalorata da statuti legislativi delle comunità, scritti o solo consuetudinari, che collocavano la donna nel novero delle "cose", anche se animate. Solo nel 1982, ad esempio, è stato eliminato nel Codice Penale Italiano la fattispecie del Delitto passionale o d'Onore che, oltre ad una pena minore rispetto ad un delitto comune, prevedeva anche, in caso di violenza sessuale, un matrimonio riparatore che poteva sanava il reato. Tutto questo creava cultura specifica, cui volenti o meno la maggioranza delle persone si accodava perpetuando uno stile di convivenza discriminatorio, antico e resistente. Non si può discutere il fatto che oggi non sia più così. O, almeno, non si può rischiare di non dire che vi sono differenze profonde, radicali e non più discutibili, che fanno del nostro tempo qualche cosa che i nostri Nonni non riconoscerebbero, per ciò che concerne il rapporto tra una donna e un uomo, per come devono vivere in condizione di parità, pena la censura della comunità che non accetta più alcuna discriminazione palese e strutturale. Molto ancora bisogna fare, ovviamente, perché insieme alle discriminazioni strutturali ve ne sono poi altre, tante, ancora da spianare, con il tempo, le generazioni e le norme intelligenti.

Escludo anche, pur ammettendo in linea di principio una sua logica, che vi sia una crisi di rigetto di questa novità secolare della parità sostanziale tra donna e uomo, che alcuni, pericolosamente, seguendo dei risultati incongrui e contraddittori che non possiamo nasconderci, vedono come la dimostrazione dell'errore storico e culturale che si è commesso nell'inseguire la parità. Posizione assurda, perché pur partendo da una evidenza logica, sarebbe come dire che i sintomi di rigetto di un cuore nuovo in un corpo vecchio si sanano strappando il cuore appena impiantato con speranza e successo.

Io escludo che queste due posizioni, al momento prevalenti, siano esatte e ne contesto i rispettivi fondamenti. E li contesto non perché abbia voglia di farlo, ma perché sono convinto che il prezzo enorme che le donne stanno pagando in questo momento è solo (e dire solo sembra una bestemmia) il più evidente e anticipatore di ben altre conseguenze che io, per quanto mi riguarda ( e fossi anche solo lo farei) voglio indicare e combattere.

Lo dico per come al momento posso farlo, ma è mia convinzione che la vera causa di questa mattanza consista nello svuotamento, dal ciclo vitale degli esseri umani che animano le società occidentali (opulente, sazie, senza problemi di sopravivenza diffusi) della cospicua parte pubblica e sociale che colmava una vita attiva (come la definisce Hanna Arendt) in cui la parte privata ed affettiva, invece, era minoritaria se non residuale. Se esiste una novità del tutto irrintracciabile in qualsiasi passato conosciuto della nostra lunga storia, è l'assenza nelle nostre giornate di urgenze collettive da riempire con il nostro tempo e il nostro impegno, con la passione civile che ne consegue, tanto da dare l'idea all'essere umano, di essere partecipe ed importante in questa storia sovra biografica attraverso la propria biografia. Non è più cosi da tempo, e dopo aver attraversato una vera rivoluzione antropologica, la nostra situazione ci vede ormai obbligati a concentrare tutta la nostra vita sulla sfera privata che è terribilmente governata dagli affetti, che sono in sé e per sé, umorali, sentimentali e lunatici e a tempo determinato. Così abituati, così immersi totalmente in questo "privato suicidio" inavvertito, che appena si rompe qualche cosa dentro le diverse forme in cui il privato affettivo si manifesta, crolla tutto e il vuoto si presenta non come fatto psicologico ma come fatto reale e consistente, tanto da volerlo cancellare fino a cancellare se stessi, sino a estirpare anche la prole generata. E' il movente di questi omicidi di donne e di figli ( e qualche volta anche di uomini) che dovrebbe terrorizzarci, perché è un movente che in questa o in altre maniere ( che noi nemmeno vediamo) può portare chiunque a staccare la spina con la vita e cancellarla nelle forme più brutali. Il movente non è la non accettazione della parità che non consente alla donna o a un uomo di chiudere con una storia affettiva, ma il vuoto totale che accompagna queste storie affettive, che determina, al loro cessare, la resa annichilente di fronte alla vita.

Stiamo parlando, quindi, non di un fenomeno culturale o psicologico, ma di una reale emergenza sociale da affrontare con strumenti sociali finalizzati a confermare e riabilitare il nostro livello di maturità civile e sociale che, al contrario, potremmo perdere senza accorgercene. Tutto questo non toglie che vi siano anche residui culturali (uomini padroni, uomini che non accettano figlie lesbiche, uomini che in genere non accettano che la donna sia soggetto e non oggetto animato) ma questi residui cospicui non sono il motore del fenomeno in crescita di delitti sulla persona per motivi affettivi o, comunque, per motivi legati alle relazioni private tra le persone. Finanche i numeri e le dimensioni sono sproporzionate rispetto a ciò che conosciamo sulla seconda parte del Novecento, quando ancora era possibile postulare spiegazioni basate sulla resistenza al cambiamento che la realtà maschile predominante poneva nei fatti e nelle idee.

La vicenda giudiziaria della "tempesta emotiva", da cui eravamo partiti, per quanto mi riguarda, conferma i miei timori. Perché se un Magistrato arriva a mettere nero su bianco una motivazione così insensata, così chiaramente in contraddizione con le nuove e ormai consolidate caratteristiche giuridiche con cui vengono trattati e interpretati i delitti con motivazioni e moventi che esulano da quelli in cui regnano gli "interessi", di vario tipo e genere, vuol dire che quel Magistrato (anche un Magistrato) reagisce istintivamente e in modo umorale a ciò che incoscientemente reputa come un attacco a ciò che lui non sente di essere, vendicandosi attraverso una sentenza. E quando le persone iniziano ad agire senza logica e senza freddezza, soprattutto quando sono persone cui è demandata grande responsabilità, vuol dire che siamo già in quella fase dove si sta perdendo quel "lume della ragione collettiva" che garantisce la vita sociale che abbiamo conquistato faticosamente nei secoli. E non lo dico per giustificare quel Magistrato, ma per trovare un motivo meno semplicistico, meno simile ad un esorcismo, per un comportamento invece indicativo di ciò che non vogliamo vedere. Quel Magistrato è il braccio armato inconsapevole di una condizione umana che ormai non ha più i mezzi per trovare delle giustificazioni reali per coprire di respiri una giornata, per alzarsi e andare a dormire con la convinzione di essere in questo mondo per un motivo che vada oltre i suoi sentimenti. Una condizione umana che da sempre ha bisogno di grandi imprese collettive per avere ragione di una vita che, altrimenti, diventando schiava dei sentimenti, perde di significato nel momento in cui attraverso essi non troviamo la realizzazione sperata o, ancor peggio, quando, esaurendosi, ci lasciano senza alcun scopo per vivere.

*Docente universitario